Quanto sono importanti oggi i protagonisti? Domanda retorica.
Cosa sarebbe 007 senza Bond da una parte e l’immancabile antagonista di turno dall’altra? Quanta polemica si fa (io per primo) per ogni nuovo attore che veste i panni di Spiderman o Batman? È l’epoca dei super-protagonisti-eroi e dei super-cattivi, tant’è che adesso si corre a fare lungometraggi su Joker.
Ma i film di guerra fanno un po’ eccezione. Sono quasi sempre corali, di stampo colossal, e difficilmente gli attori vengono messi in primo piano e ricevono premi importanti, anche quando il cast è molto accreditato. 11 oscar all’ultimo Signore degli Anelli (colossal fantasy pieno di scene di guerra): uno dei film più premiati della storia e non c’e nemmeno un riconoscimento ad un attore.
Dunkirk, il nuovo capolavoro ultraosannato di Nolan si spinge ancora oltre sul piano dell’assenza di veri protagonisti.
La storia si dipana all’interno di un unico scenario: siamo nel maggio 1940 su una spiaggia dove 400.000 uomini inglesi (e francesi) sono assediati dai tedeschi e tentano la fuga per mare. Diverse prospettive si intrecciano: da quella del pilota della Royal Air Force al quella del Comandante Bolton (intensissimo Kenneth Branagh), da quella della coppia padre e figlio che si avventurano al salvataggio a quella dei soldati e in particolare quella del soldato Tommy. Volti vecchi e nuovi del cinema che sono lì per metterci l’espressione e l’intensità che serve nei momenti giusti, ma nessuno è protagonista. Né lo è il nemico: i tedeschi non si vedono proprio mai. Sono nascosti e attaccano da lontano, piovono in forma di bombe dal cielo e missili dal mare, sono anonimi aerei e colpi di fucile attraverso le pareti della barca che sta andando a fondo.
Il protagonista è la scena stessa. È il mare con la sua stretta mortale e respingente. È il cielo freddo solcato dal fumo dei caccia feriti. È la maledetta spiaggia a cui si ritorna sempre quando le navi si inabissano come se fossero tanti Poseidon e Titanic moltiplicati. È il tempo, l’attesa stessa della salvezza.
Già, perché Nolan, è noto, ha un problema con gli orologi. Li fa tichettare instancabili, ma in realtà il tempo sembra fermo e si dilata, come nei sogni concentrici di Inception, come sul pianeta delle onde di Interstellar. Anche la colonna sonora del maestro Hans Zimmer è complice del regista. Viene utilizzata la scala Shepard (no, Grey’s Anathomy non c’entra) che crea quell’effetto ipnotico ed illusivo di eterna ascensione acustica mentre in realtà si sta sempre fermi, in ansia.
Si scorgono pure alcuni interpreti feticcio del regista. Cillian Murphy, alias Spaventapasseri di Batman Begins e ricco addormentato di Inception, è uno specializzato in figure pessime a quanto pare, perché anche qui come soldato sotto shock è un vero disastro (non come attore, ovviamente). Il vecchio Tom Hardy a questo giro nasconde il viso nella maschera da pilota dopo quella del cattivo Bane de “Il Cavaliere Oscuro” e solo alla fine regala uno dei suoi sguardi muti davanti alle fiamme, quelli da istantanea incorniciata in salotto. Bravo, continua a non sbagliare mai un film. Ma non è Tom il protagonista, almeno non quanto le lancette che ci inseguono mentre tentiamo invano di scappare.
Si gioca con il tempo e lo spazio in questa reinvenzione della guerra come metafora claustrofobica. Si galleggia in una bolla da cui l’uomo non sa districarsi, dove la morte incombe, dove gli spiriti vengono messi alla prova e l’acqua sale alla gola dello spettatore.
Un capolavoro senza eroi che non risparmia nessuno. L’unico presunto eroe pubblicato sui giornali sarà infatti il ragazzo più sfortunato di tutti, che in realtà non ha fatto praticamente niente.
Un inchino a Nolan che non sbaglia un colpo e speriamo di dormire ancora bene. Accertatevi di non avere orologi che ticchettano in casa.
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Matteo Sola
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