Qualche giorno fa mi sono imbattuta in One, cortometraggio animato del 2007, dell’artista israeliana (che ormai vive a Philadelphia) Michal Levy.
Prima di continuare a leggere vi consiglio di guardare il video.
Ciò che mi ha spinta inizialmente a parlarne sul mio blog è stato il piacere della visione perchè, concedetemi di dire che, questo video riempie gli occhi: è difficile distogliere lo sguardo dallo schermo che si colora di pastelli in una grafica dal sapore anni ’80. E la mente si apre verso l’immaginazione, la fantasia, il sogno. Si entra subito in sintonia con la creatività della regista.
Poi, però, mi sono accorta che sin dal primo fotogramma è evidente che il video è tutto incentrato sulla musica ed è l’udito ad essere stuzzicato e coccolato. Le note jazz di Suheir di Jason Lindner, un giovane jazzista newyorkese molto apprezzato dalla critica, dagli appassionati nonchè dal pubblico giovane, eseguita dalla Jason Lindner Big Band ci conduce in un percorso labirintico.
E così scopro che Michal Levy ha ideato il cortometraggio ispirata proprio da questo brano, ascoltato live allo Smalls, un locale di New York, durante uno dei tanti sold out del musicista.
Con quest’opera e con Giant Steps la regista indaga sulla forma della musica, cerca di rappresentare “the land of music”, come racconta sul suo sito www.michalevy.com .
La visualizzazione del suono si compone di colori in movimento nello spazio. Strisce ed onde ci guidano in un ascolto con le orecchie di qualcun altro.
Ma, mi chiedo, come si può dare una forma, e quindi un confine, alla musica? Come si può contornare l’infinito?
Michal levy ci trasmette la sua idea di infinito: da un microspazio si passa, attraverso lo spettro del suono, ad una città altalenante e deserta (che purtroppo oggi non può che rimandare la mia mente alla Tokyo dell’11 marzo scorso i cui grattacieli oscillavano durante le forti scosse telluriche che hanno colpito l’intero Giappone) per poi sfociare, dopo un irradiamento di colori (proprio come l’energia scatenata da un terremoto) in un’oceano di gomma e gelato popolato da linee che si rincorrono per terminare nella semplicità di un tratto netto, verticale, immobile e rosso che racchiude l’infinito con tutte le sue tensioni, pronto ad esplodere in una danza che , chissà magari sarà diversa.
Angela Belcastro
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